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Donna de paradiso
Jacopone da Todi (1230-36 circa – 1306) è autore di circa 100 laude in volgare di carattere religioso, in forma di ballate di settenari o ottonari. La conversione, avvenuta sull’onda di una forte esperienza emotiva (scoprì il cilicio sul corpo della moglie morta durante una festa), il suo ingresso nell’ordine francescano, la scomunica comminata dal papa Bonifacio VIII (per essersi opposto alle gerarchie ecclesiastiche) e la vicinanza con l’ala più rigorosa dei francescani lo allontanano progressivamente dalla società umana. Ne deriva una visione cupa e pessimista, caratterizzata, soprattutto nelle laude dialogate, di cui Donna de Paradiso è l’esempio migliore, da una particolare attenzione all’animo umano e ai suoi tormenti. In tal modo, avviene una sorta di ‘umanizzazione’ tanto della Vergine quanto di Cristo (che soffre delle torture inflitte) che, accanto a un linguaggio facilmente comprensibile anche da un pubblico popolare e alla forma della rappresentazione drammatica, contribuisce al forte coinvolgimento dei fedeli.
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«Donna de Paradiso, lo tuo figliolo è preso Iesù Cristo beato.
Accurre, donna e vide che la gente l’allide;
credo che lo s’occide, tanto l’ho flagellato»
«Como essere porria, che non fece follia,
Cristo, la spene mia, om l’avesse pigliato?».
«Madonna, ello è traduto, Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto, fatto n’à gran mercato».
«Soccurri, Madalena, ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena, como è annunzïato».
«Soccurre, donna, adiuta, cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta; òlo dato a Pilato».
«O Pilato, non fare el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare como a ttorto è accusato».
«Crucifige, crucifige! Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege contradice al senato».
«Prego che mm’entennate, nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate de que avete pensato».
«Traiàn for li latruni, che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni, ché rege ss’è clamato!».
«O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio al cor me’ angustïato?
Figlio occhi iocundi, figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi al petto o’ sì lattato?».
«Madonna, ecco la croce, che la gente l’aduce,
ove la vera luce déi essere levato».
«O croce, e que farai? El figlio meo torrai?
E que ci aponerai, che no n’à en sé peccato?».
«Soccurri, plena de doglia, cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia che sia martirizzato».
«Se i tollit’el vestire, lassatelme vedere,
com’en crudel firire tutto l’ò ensanguenato».
«Donna, la man li è presa, ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa, tanto lo ’n cci ò ficcato.
L’altra mano se prende, ennella croce se stende
e lo dolor s’accende, ch’è plu multiplicato.
Donna, li pè se prènno e clavellanse al lenno;
onne iontur’ aprenno, tutto l’ò sdenodato».
«Et eo comenzo el corrotto; figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto, figlio meo dilicato?
Meglio aviriano fatto ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto, stace descilïato!».
«O mamma, o’ n’èi venuta? Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta ché ’l veio sì afferato».
«Figlio, ch’eo m’aio anvito, figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito? Figlio, chi tt’à spogliato?».
«Mamma, perché te lagni? Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni, ch’êl mondo aio aquistato».
«Figlio, questo non dire! Voglio teco morire,
non me voglio partire fin che mo ’n m’esc’el fiato.
C’una aiàn sepultura, figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura mat’e figlio affocato!».
«Mamma col core afflitto, entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto; sia to figlio appellato.
Ioanni, èsto mea mate: tollila en caritate,
àginne pietate, cà ’l core sì à furato».
«Figlio, l’alma t’è ’scita, figlio de la smarrita,
figlio de la sparita, figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio,
figlio e a ccui m’apiglio? Figlio, pur m’ài lassato!
Figlio bianco e biondo, figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo, figlio, cusì sprezzato?
Figlio dolc’e piacente, figlio de la dolente,
figlio àte la gente mala mente trattato.
Ioanni, figlio novello, morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello che fo profitizzato.
Che moga figlio e mate d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate mat’e figlio impiccato!».
Jacopone da Todi, Laude, a cura di F. Mancini, Laterza, Bari 1974
Laude di Iacopone da Todi testo in PDF
Donna de paradiso, recitata da Irene Papas
dallo spettacolo Stabat Mater al Teatro San Carlo di Napoli
sacra rappresentazione su testi di Jacopone da Todi
Il combattimento in armatura nel XV secolo
La video se décompose en deux parties. La première montre la mobilité du chevalier en armure, et la seconde explique les différentes techniques de combat, reconstituées d’après un corpus de 52 manuscrits traitant du combat en armure, qui couvrent de la fin du 14e siècle jusqu’à la première moitié du 16e.
Il canone delle streghe di Reginone di Prum (906)
Per caso mi sono imbattuta in una notizia molto adatta alla giornata di oggi, otto marzo, ma declinata nella mia chiave di lettura: quella della storia. Questo brano è, a quanto pare, un passaggio fondamentale nella rappresentazione della donna-strega. Buon divertimento. Soprattutto è convinto che la storia sia noiosa, pedante e lontana. Consiglio di leggere bene la chiusa per avere idea di quale fosse la considerazione del fenomeno, al di là dei miti pseudostorici.
Quando nel 906 Reginone, abate di Prum, scrisse il suo Canon Episcopi, fissò, nel testo, lo stereotipo che, per tutto il medioevo e oltre, venne impiegato per descrivere e trattare il fenomeno delle streghe. Dice, infatti: «certe donne depravate, rivolte a Satana, e sviate da illusioni e seduzioni diaboliche, credono e affermano di caval care la notte alcune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani (o di Ero diade), e di una innumerevole moltitudine di donne; di attraversare larghi spazi grazie al silenzio della notte profonda e di ubbidire a lei come loro signora e di essere chiamate certe notti al suo servizio. Volesse il Cielo che soltanto loro fossero perite nella loro falsa credenza e non avessero trascinato parecchi altri nella perdizione dell’anima! Moltissimi, infatti, si sono lasciati illudere da questi inganni e credono che tutto ciò sia vero, e in tal modo si allontanano dalla vera fede e cadono nel l’errore dei pagani, credendo che vi siano altri dei o divinità, oltre all’unico Dio. Perciò, nelle chiese a loro assegnate, i preti devono predicare con grande diligenza al popolo di Dio affinché si sappia che queste cose sono completamente false e che tali fantasie sono evocate nella mente dei fedeli non dallo spirito divino ma dallo spirito malvagio. Infatti […] durante le ore del sonno inganna la mente che tiene prigioniera, alter nando visioni liete a visioni tristi, persone note a persone ignote, e conducendole attraverso cammini mai praticati; e benché la donna infedele esperimenti tutto ciò solo nello spirito, ella crede che avvenga non nella mente ma nel corpo».
San Valentino e i Lupercalia
Non amo le feste dei sorrisi obbligatori, i cuoricini di San Valentino, i cioccolatini per la festa della mamma e le trovate come le cene per sole donne dell’otto marzo. Cioccolatini, fiori e cene vanno bene sempre, non solo quando lo indica la pubblicità. Perciò oggi mi divertirò a smontare questa festa commerciale restituendola a ciò che è: un culto pagano orgiastico che celebra la fertilità e propizia l’imminente primavera.
I Lupercalia erano una festività religiosa romana che si celebrava il 15 di febbraio, in onore del dio della fertilità Luperco, protettore del bestiame e delle messi. La festa celebrava la fertilità della terra e delle donne. In quel periodo, infatti, si raggiungeva il culmine del periodo invernale, con il riposo delle terre agricole.
Plutarco ne dà una descrizione minuziosa nelle sue Vite parallele (Vita di Giulio Cesare, cap. 61). I Lupercalia venivano celebrati nella grotta chiamata appunto Lupercale, sul colle romano del Palatino dove, secondo la leggenda, i fondatori di Roma, Romolo e Remo sarebbero cresciuti allattati da una lupa.
Secondo il rito celebrativo, nel giorno antecedente i Lupercalia, le donne ancora in cerca di marito scrivevano il loro nome su un biglietto che veniva messo in un grande contenitore; successivamente tali biglietti, estratti a sorte, venivano abbinati ai nomi dei maschi presenti così da formare delle coppie; queste coppie passavano insieme tutto il giorno della festività danzando e cantando; poteva succedere che alla fine dei festeggiamenti alcune di esse decidessero di sposarsi.
Inoltre, il giorno stesso, due ragazzi (i luperci) di famiglia patrizia, in una grotta sul palatino consacrata al dio, venivano segnati sulla fronte con del sangue di capra. Il sangue veniva quindi asciugato con della lana bianca intinta nel latte di capra, al che i due ragazzi dovevano sorridere.
Venivano poi fatte loro indossare le pelli degli animali sacrificati, le quali venivano poi fatte a striscie costituendo le februa o amiculum Iunonis, da usare come fruste. Con queste ultime i due giovani dovevano correre intorno al colle colpendo chiunque incontrassero e in particolare le donne, le quali volontariamente si offrivano per purificarsi e ottenere la fecondità.
Un altro rito della celebrazione era la februatio, la purificazione della città, in cui le donne scendevano in strada con dei ceri accesi.
I Lupercalia furono osteggiati verso la fine del V secolo da Papa Gelasio I che volle contrapporre loro la festa di San Valentino come festa delle persone che si amano.
Fra il 492 e il 496 Gelasio decise di sostituire la ricorrenza pagana con una nuova ricorrenza legata ad un santo e, nella fattispecie, a San Valentino. L’intento era quello di trasformare la festa della fertilità in una festa dell’amore legata a un messaggio cristiano e l’anniversario della morte di Valentino cadeva proprio in quei giorni. La data della ricorrenza venne dunque fissata al 14 febbraio.
Sul perché di quella scelta si sa poco: c’è chi sostiene che la decisione sia ricaduta su quel santo grazie alla sua predicazione dell’amore (nel termine più ampio del termine) e il rispetto reciproco in anni in cui quei concetti erano estranei a gran parte dei cristiani stessi, altri sostengono che la scelta sia stata perlopiù casuale e motivata solo dalla contingenza di trovare un sostituto alla festa pagana.
San Valentino si convertì al cristianesimo e venne ordinato vescovo da san Feliciano di Foligno nel 197. Nel 207 l’imperatore Claudio II tentò di convincerlo a tornare al paganesimo, ma Valentino si oppose e come contromossa cercò di convertire al cristianesimo l’imperatore stesso. I suoi sforzi furono vani e rischiò di essere giustiziato per il suo gesto anche se all’ultimo momento Claudio II decise di graziarlo. Sotto Aureliano venne nuovamente arrestato e questa volta non sfuggì alla persecuzione: venne decapitato il 14 febbraio 269.
Nel tempo la festa assunse una connotazione maggiormente legato all’amore fra due persone anche grazie al gesto di papa Paolo II che, il 14 gennaio 1400, decise di cogliere l’occasione di quella ricorrenza per distribuire una dote alle donne nubili in modo da aumentare il numero dei matrimoni. Quel gesto creò un’associazione fra la festa di San Valentino e i matrimoni ed i fidanzamenti.
Ilaria Sabbatini
Il presepe di Santa Chiara
24 dicembre 1957. Nel programma Buon Natale ovunque tu sia, regia di Franco Morabito, la storia del presepe di Santa Chiara.
Open Access: dichiarazione di Messina, Berlino e Budapest
La Dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla letteratura scientifica è una dichiarazione internazionale sull’accesso aperto alla conoscenza (Open Access).
È stata scritta nel 2003 in una conferenza sull’accesso aperto ospitata a Berlino dalla Società Max Planck.
In Italia la dichiarazione di Berlino è stata seguita dalla dichiarazione di Messina (4 novembre 2004) in occasione del workshop nazionale Gli atenei italiani per l’Open Access: verso l’accesso aperto alla letteratura di ricerca. Il materiale relativo al workshop è reperibile all’indirizzo http://www.aepic.it/conf/Messina041/index981f.html
Il Budapest Open Access Initiative del 2001 viene riconosciuto come il primo raduno storico di fondazione dell’Open Access.
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Dichiarazione di Berlino
Premessa
Internet ha radicalmente modificato le realtà pratiche ed economiche della distribuzione del sapere scientifico e del patrimonio culturale. Per la prima volta nella storia, Internet offre oggi l’occasione di costituire un’istanza globale ed interattiva della conoscenza umana e dell’eredità culturale e di offrire la garanzia di un accesso universale.
Noi, i firmatari, ci impegniamo ad affrontare le sfide di Internet come mezzo funzionale emergente per la diffusione della conoscenza. Siamo certi che questi sviluppi saranno in grado di incidere significativamente tanto sulla natura delle pubblicazioni scientifiche quanto sul sistema esistente di valutazione della qualità scientifica.
In accordo con lo spirito della Dichiarazione della Budapest Open Access Initiative, la Carta di ECHO e il Bethesda Statement sull’Open Access Publishing, abbiamo redatto la Dichiarazione di Berlino per promuovere Internet quale strumento funzionale alla conoscenza scientifica generale di base e alla speculazione umana e per indicare le misure che le figure dominanti nelle politiche di ricerca, le istituzioni scientifiche, i finanziatori, le biblioteche, gli archivi ed i musei devono tenere in considerazione.
Obiettivi
La nostra missione di disseminazione della conoscenza è incompleta se l’informazione non è resa largamente e prontamente disponibile alla società. Occorre sostenere nuove possibilità di disseminazione della conoscenza, non solo attraverso le modalità tradizionali ma anche e sempre più attraverso il paradigma dell’accesso aperto via Internet. Definiamo l’accesso aperto come una fonte estesa del sapere umano e del patrimonio culturale che siano stati validati dalla comunità scientifica.
Per mettere in pratica la visione di un’istanza globale ed accessibile del sapere, il Web del futuro dovrà essere sostenibile, interattivo e trasparente. I contenuti ed i mezzi di fruizione dovranno essere compatibili e ad accesso aperto.
Definizione di contributi ad accesso aperto
Accreditare l’accesso aperto quale procedura meritevole richiede idealmente l’impegno attivo di ogni e ciascun produttore individuale di conoscenza scientifica e di ciascun depositario del patrimonio culturale. I contributi ad accesso aperto includono le pubblicazioni di risultati originali della ricerca scientifica, i dati grezzi e i metadati, le fonti, le rappresentazioni digitali grafiche e di immagini e i materiali multimediali scientifici. Ciascun contributo ad accesso aperto deve soddisfare due requisiti:
- L’autore(i) ed il detentore(i) dei diritti relativi a tale contributo garantiscono a tutti gli utilizzatori il diritto d’accesso gratuito, irrevocabile ed universale e l’autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo, trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente e a produrre e distribuire lavori da esso derivati in ogni formato digitale per ogni scopo responsabile, soggetto all’attribuzione autentica della paternità intellettuale (le pratiche della comunità scientifica manterranno i meccanismi in uso per imporre una corretta attribuzione ed un uso responsabile dei contributi resi pubblici come avviene attualmente), nonché il diritto di riprodurne una quantità limitata di copie stampate per il proprio uso personale.
- Una versione completa del contributo e di tutti i materiali che lo corredano, inclusa una copia della autorizzazione come sopra indicato, in un formato elettronico secondo uno standard appropriato, è depositata (e dunque pubblicata) in almeno un archivio in linea che impieghi standard tecnici adeguati (come le definizioni degli Open Archives) e che sia supportato e mantenuto da un’istituzione accademica, una società scientifica, un’agenzia governativa o ogni altra organizzazione riconosciuta che persegua gli obiettivi dell’accesso aperto, della distribuzione illimitata, dell’interoperabilità e dell’archiviazione a lungo termine.
Sostenere la transizione verso il paradigma dell’accesso aperto elettronico
Le nostre organizzazioni sono interessate all’ulteriore promozione del nuovo paradigma dell’accesso aperto per offrire il massimo beneficio alla scienza e alla società. Perciò intendiamo favorirne il progresso:
- incoraggiando i nostri ricercatori e beneficiari di finanziamenti per la ricerca a pubblicare i risultati del loro lavoro secondo i principi dell’accesso aperto
- incoraggiando i detentori del patrimonio culturale a supportare l’accesso aperto mettendo a disposizione le proprie risorse su Internet
- sviluppando i mezzi e i modi per valutare i contributi ad accesso aperto e le pubblicazioni in linea, così da preservare gli standard qualitativi della validazione e della buona pratica scientifica
- difendendo il riconoscimento delle pubblicazioni ad accesso aperto ai fini delle valutazioni per le promozioni e l’avanzamento delle carriere
- difendendo il merito intrinseco dei contributi ad un’infrastruttura ad accesso aperto attraverso lo sviluppo di strumenti di fruizione, la fornitura di contenuti, la creazione di metadati o la pubblicazione di articoli individuali.
Noi riconosciamo che il passaggio all’accesso aperto modifica la disseminazione della conoscenza nei suoi aspetti legali e finanziari. Le nostre organizzazioni mirano a trovare soluzioni che sostengano futuri sviluppi degli attuali inquadramenti legali e finanziarie al fine di facilitare l’accesso e l’uso ottimale.
Dichiarazione di Berlino in PDF
Dichiarazione di Messina
I convenuti
considerata l’importanza fondamentale che la diffusione universale delle conoscenze scientifiche riveste nella crescita economica e culturale della società;
vista l’esigenza avvertita in seno alle comunità accademiche internazionali e negli Atenei italiani di individuare forme alternative di diffusione della comunicazione scientifica che garantiscano la più ampia disseminazione e il più alto impatto scientifico dei prodotti culturali creati al loro interno;
considerate le numerose iniziative intraprese a livello internazionale che hanno ravvisato nell’«accesso aperto » alla letteratura scientifica lo strumento basilare nella disseminazione del patrimonio culturale delle comunità accademiche e di ricerca;
vista la Dichiarazione di Berlino che, in armonia con lo spirito della Dichiarazione della Budapest Open Access Initiative, la Carta di ECHO e il Bethesda Statement sull’Open Access Publishing, persegue tra i suoi obiettivi il sostegno a «nuove possibilità di disseminazione della conoscenza non solo attraverso le modalità tradizionali ma anche e sempre più attraverso il paradigma dell’accesso aperto via Internet»;
considerata l’importanza dei principi enunciati e condivisi dai convenuti e l’alto profilo a livello internazionale delle istituzioni accademiche, di cultura e di ricerca firmatarie;
dichiarano di aderire alla Dichiarazione di Berlino, Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, a sostegno dall’accesso aperto alla letteratura scientifica, con l’auspicio che questo gesto costituisca un primo ed importante contributo dato dagli Atenei italiani ad una più ampia e rapida diffusione del sapere scientifico..
Gruppo di lavoro Open Access della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane)
Dichiarazione di Messina in PDF
Open access
L’Open Access è una modalità di pubblicazione del materiale prodotto dalla ricerca, come ad esempio gli articoli scientifici pubblicati in riviste accademiche o atti di conferenze, ma anche capitoli di libri, monografie, o dati sperimentali; che ne consente accesso libero e senza restrizione. Il termine esprime la libera disponibilità online di contenuti digitali in generale e riguarda l’insieme della conoscenza e della creatività liberamente utilizzabile, in quanto non coperta da restrizioni legati alla proprietà intellettuale. Il Budapest Open Access Initiative del 2001 viene riconosciuto come il primo raduno storico di fondazione dell’Open Access.
Per Matera, per tutti
Da poco ho saputo che la capitale europea non sarà nostra. Nostra come Toscana, intendo. Mi dispiace, perché ci tenevo a che fosse rappresentata la mia regione. Ma penso anche che noi siamo una terra fortunata. Senza falsa modestia, credo di abitare in uno dei luoghi più belli che mi poteva capitare. La cultura contadina dietro l’angolo, le città come universi compiuti, le campagne morbide, i colori naturali del senese, l’aura selvaggia del maremmano, le aspirazioni liguri del carrarino, le rivalità rituali del livornese-pisano, la ritrosia lucchese, la sorpresa del volterrano, l’opulenza fiorentina. Ho vissuto metà della mia vita in una città così carica di storia da poterla sentire come un liquido amniotico. Anche nel vicolo del biciclettaio e nel parcheggio a gettone. Di ogni città nuova dove vado, quello che mi preoccupa è ritrovare questo stesso respiro. Il buon storico – sosteneva Bloch – somiglia all’orco della fiaba: là dove fiuta la carne umana, sa che è la sua preda. Non posso e non voglio giudicare me stessa, ma so per certo che questo istinto all’umano mi si è radicato dentro ed è diventato potente. Forse anche per la terra dove mi sono formata. Leggere la storia sui muri e nei reticoli delle strade è come avere una finestra interiore sempre aperta sul panorama umano. Ché poi è la cosa più interessante che possa capitare. C’è un senso di continuità intrinseco nella storia che spinge a rivolgere lo sguardo verso il futuro. Gli storici sono gli astronauti del tempo. Amare la storia non significa opporsi alle trasformazioni, tantomeno in questo periodo. E’ una gioia autentica vedere qualcosa rinascere dalle macerie di questi anni bui. Nel piccolo delle nostre città bastano alla gratitudine una caffetteria nuova, una merceria, un panettiere, una libreria che riapre, un alimentari che ritorna in vita al posto delle trappole per turisti. Tutto ciò è umano ed è nostro: fatto a misura di noi che viviamo un paese piccolo, sgarrupato e prezioso. Reso fecondo dalla varietà innumerevole e dall’irriducibile singolarità. E’ per questo che mi piace la nomina di Matera, con la sua storia unica, eppure così significativa per tutti. Matera è parte di quel panorama umano da cui trare forza quello che oggi siamo e ne è la figura per antonomasia. E’ bello osservare tutto ciò che si sta muovendo intorno a questa nomina di capitale europea della cultura. L’ambizione realizzata di una città è diventata l’ambizione di tutti, in un momento storico tanto difficile e tanto speciale come quello che viviamo. C’è fermento nel paese, sta succedendo qualcosa. Non è un fenomeno che ha un nome. E’ più un sentire comune, come una speranza condivisa. Rinascono faticosamente attività e iniziative. Ci vorrà una forza straordinaria. Ed è proprio questa voglia di risalire che Matera incarna. Basta guardare il suo profilo per avvertire la presenza recente di Pasolini. Quel Pasolini che raccontava le città come organismi viventi.
Ilaria Sabbatini
Che aspetto ha un palinsesto
Il palinsesto è un manoscritto di papiro o pergamena, di epoca antica o medievale, il cui testo originario (scriptio inferior) sia stato cancellato mediante lavaggio e raschiatura e sostituito con altro (scriptio superior) disposto nello stesso senso o in senso trasversale al primo.
L’uso di riutilizzare la materia scrittoria, preziosa per la sua rarità o difficoltà di produzione, già ricordato in età classica, per il papiro, da Catullo, Cicerone,Plutarco e nel Digesto, si diffuse fra VIII e IX sec. in centri scrittori europei dove furono ‘riscritti’ codici antichi (codices rescripti) contenenti testi classici, giuridici, liturgici e biblici caduti in disuso o ritenuti, come quelli ariani, eterodossi. Numerosi p. furono prodotti fra 11° e 15° sec., riutilizzando codici liturgici di età romanica e documenti pubblici e privati su pergamena. Sono rari i casi di documenti membranacei riutilizzati per riscrivervi sopra altri atti documentari (chartae rescriptae).
Lo studio scientifico dei palinsesti, la cui lettura può presentare notevoli difficoltà, si diffuse nella prima metà del XIX sec., per opera anzitutto di Angelo Mai [proprio quello della canzone Ad Angelo Mai del Leopardi] che, utilizzando reagenti chimici, scoprì nella Biblioteca Ambrosiana e nella Vaticana testi fino allora sconosciuti di autori pagani e cristiani, tra cui il De republica di Cicerone. L’uso indiscriminato dei reagenti chimici (noce di galla, tintura detta del Gioberti, solfidrato di ammonio) ha però procurato danni ai palinsesti sottoposti al trattamento, rendendo spesso impossibili nuovi tentativi di lettura. Nel XX sec. si è preferito ricorrere al sistema, più efficace e innocuo, della lettura e della fotografia mediante raggi ultravioletti, che, attraverso la fluorescenza, rendono evidenti i contrasti fra le due scritture. (Treccani)
https://www.youtube.com/watch?v=RmfZcsmQTEk