Un medioevo aperto al mondo
di Massimo Montanari.
Estratto dall’intervento al convengo “La storia è di tutti. Nuovi orizzonti e buone pratiche nell’insegnamento della storia” Modena 5 – 10 settembre 2005
La domanda da porre a questo punto è molto semplice: dove abita l’identità? Nel passato o nel presente? Laggiù o quassù? La risposta è molto chiara: l’identità è qui, l’identità siamo noi, così come la storia ci ha costruiti. Eppure, un diffuso equivoco vuole che l’identità sia qualcosa da cercare, da trovare, da conservare: che abiti in fondo alla storia, là dove si ritrovano le nostre “radici”.
Le radici: altra parola equivoca, altro concetto pericoloso. Anche qui, la mia domanda è semplice: come sono fatte, quale forma hanno le radici? Da come spesso se ne parla, sembrerebbero fatte a forma di carota: il vertice in fondo sarebbe il punto da ritrovare, il luogo mitico delle nostre origini. Ma le radici sono fatte al contrario: scendendo in profondità si allargano. Più scendiamo nel terreno, più le radici si allargano. E si badi: la pianta, più le radici sono ampie, più è forte e duratura.
Allora, se proprio vogliamo giocare al gioco delle radici, io propongo di farlo seriamente e fino in fondo, di utilizzare fino in fondo la metafora (perché una metafora è sempre specchio della realtà che rappresenta). Cerchiamo le nostre radici? Benissimo. Più cerchiamo, più ci allontaniamo da noi. Più cerchiamo, più troviamo il mondo. Esattamente il contrario di quanto propongono certi mistificatori del gioco.
(…)
Intendo dire che identità e radici (concetti che spesso, ma abusivamente, tendiamo ad assimilare e a confondere) non sono la stessa cosa, anzi, sono cose lontanissime fra loro. Le radici sono là in fondo, l’identità è qui. Le radici sono la storia, l’identità siamo noi. Le radici, cioè le origini, di per sé non spiegano nulla: servono solo a rendersi conto di quanto siano complicati e contorti i fili della vicenda storica. Lo aveva sottolineato con forza Marc Bloch, quando, nel suo aureo libretto di riflessione sul mestiere di storico, intitolato “Apologia della storia”, metteva in guardia lo storico dal “mito delle origini”, che non sono le cause, e allo storico, in fondo, non interessano più di tanto.
APPROFONDIMENTI BIBLIOGRAFICI:
M. Montanari, Storia medievale, Roma-Bari, Laterza, 2000.
M. Montanari, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1993.
M. Montanari, Il cibo come cultura, Roma-Bari, Laterza, 2004.